Certe parole arabe

di Fabio De Propris

Fotografia copyleft ritoccata da Vincenzo Gentile

Nel delineare il personaggio del conte zio, cioè dell’influente zio di don Rodrigo e del cugino Attilio, a metà del capitolo diciotto dei Promessi sposi, Manzoni ricorre a una similitudine con le scatole esposte in qualche farmacia. Le scatole sono vuote, ma la loro apparenza esotica dà lustro al negozio. E questo è ciò che conta: non il contenuto, ma l’apparenza.

Attilio, appena arrivato a Milano, andò, come aveva promesso a don Rodrigo, a far visita al loro comune zio del Consiglio segreto. […] Il conte zio, togato, e uno degli anziani del consiglio, vi godeva un certo credito; ma nel farlo valere, e nel farlo rendere con gli altri, non c’era il suo compagno. […] A segno che fino a un: io non posso niente in questo affare: detto talvolta per la pura verità, ma detto in modo che non gli era creduto, serviva ad accrescere il concetto, e quindi la realtà del suo potere: come quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c’è nulla; ma servono a mantenere il credito alla bottega.

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap.18, commento a cura di Ezio Raimondi e Luciano Bottoni, Milano, Principato, 1988, righe 309-11; 313-16; 319-24, pp. 403-04.

Nella nota alle righe 322-324 di pagina 404 del commento di Raimondi e Bottoni si legge:

il paragone si trasforma in satira mordace d’un potere simulato; l’immagine delle scatole pare a molti suggerita dalla Gazzetta Veneta (XXXIX) di Gasparo Gozzi (Venezia 1713 – Padova 1786): In certe bottegucce di campagna mal provvedute si vedono diverse scatole con le loro iscrizioni di fuori che paiono additare quel che vi è dentro; ma la è come dire una maschera e un’apparenza del bottegaio, il quale con quella bella mostra vuol mantenere il concetto delle faccende”. Vero è che attraverso la similitudine anche quella del conte zio diventa, per associazione, una “bottega di speziale”, con l’ombra, di nuovo, della ciarlataneria.

Le scatole con “certe parole arabe” rimandano all’arte del packaging (vedi il capitolo dedicato) e alla pratica del fare il pacco: l’aspetto esteriore del pacco è così importante, che il contenuto non solo è secondario, ma è addirittura assente. Il pacco evoca un mondo, l’esotica medicina araba, che, per essere esotica, trasmette una parvenza di validità ignota ai prodotti di casa. La fama che la medicina araba ebbe nel Medioevo (si pensi almeno ad Avicenna) si riverbera nelle scatole vuote esposte in farmacia. Il negozio si proclama aperto a tutti i migliori rimedi che l’arte degli speziali – la farmaceutica – ha potuto produrre, non importa in quale Paese siano stati prodotti.

Questa fama usurpata con le scatole vuote, similmente all’abilità del conte zio di parlare, di accennare o addirittura di restare zitto in momenti e nei modi più efficaci, evoca il “concetto” di un potere e di conseguenza la realtà di quel potere, dice Manzoni nel passaggio più stupefacente del capoverso (rr. 321-22). Basta che tu riesca a formare nella mente del tuo interlocutore il concetto che tu hai potere, perché tu abbia potere nella realtà.

Il meccanismo psicologico era già stato narrato da Giovanni Boccaccio nella prima novella del Decameron: l’indegno ser Ciappelletto è ritenuto erroneamente da tutti un santo e dunque può fare miracoli. Gasparo Gozzi, il fratello maggiore di Carlo, nel passaggio che potrebbe aver fornito a Manzoni uno spunto (ma non va escluso che in entrambi gli scrittori sia stata l’esperienza delle cose a ispirare la similitudine), introduce un’attenuazione: le scatole vuote esposte al pubblico possono avere efficacia in “qualche botteguccia di campagna”.

Non è impossibile che Venezia, con la sua tradizione di traffici commerciali con l’Oriente, benché vivesse nel Settecento il suo lungo tramonto, fosse abitata da cittadini smaliziati ed esperti di strategie di vendita. Gozzi immagina dunque che le scatole vuote possano funzionare solo nell’entroterra contadino del Veneto, più ingenuo e sprovveduto di quanto fosse la capitale della Serenissima. Per Manzoni, le scatole vuote con “certe parole arabe” funzionano a Milano e probabilmente in tante altre città. Oggi, con la diffusione della rete, il fascino della scatola vuota, ovvero del pacco, ha reso il mondo, più che un’enorme Venezia, una campagna infinita dominata da un’infinita botteguccia.

È mai esistito, del resto, un mondo in cui si sia praticato il commercio senza pacco?

NOTA
La novella di Boccaccio (Decameron, I, 1) è introdotta da una rubrica esplicita: Ser Cepparello con una falsa confessione inganna uno santo frate, e muorsi; ed essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto. In conclusione, il narratore Panfilo così commenta il fatto che invocando “san Ciappelletto” si viene esauditi, benché il presunto santo fosse stato in realtà un uomo pessimo:
[…] grandissima si può la benignità di Dio cognoscere verso noi, la quale non al nostro errore, ma alla purità della fede riguardando, così faccendo noi nostro mezzano un suo nemico, amico credendolo, ci esaudisce, come se ad uno veramente santo per mezzano della sua grazia ricorressimo.
Se dunque Dio guarda soltanto alla fede di chi invoca un falso santo e non alle qualità reali del santo, è ovvio che il “concetto” che il fedele ha della santità, e dunque dell’efficacia del santo invocato, produce la “realtà” del potere di mediazione del santo.